Articolo di Valentina apparso su “il Bo” il 19 agosto 2013.
La matematica da sempre compie percorsi tortuosi per autodefinirsi, con continui balzi avanti e indietro, che spesso mettono in discussione quanto affermato sino a quel punto, per poi hegelianamente trovare una sintesi, di nuovo, in una teoria più ampia. Ancora si legge e si scrive di quale e quanto fu lo stupore quando Kurt Gödel, a soli 26 anni, nel 1931 presentò alla comunità scientifica il suo “teorema dell’incompletezza dei sistemi formali”, minando le certezze logiche di un’epoca. C’è chi poi dedica l’intera vita a risolvere un paradosso o a dimostrare una congettura, senza mai riuscirvi: viene in mente Bolyai padre, matematico amico di Gauss, che in una lettera al ben più famoso figlio János (che contemporaneamente, ma indipendentemente da Lobačevskij, scoprì ai primi dell’Ottocento la geometria non euclidea) gli scrive: “Ti supplico abbandona la scienza delle parallele! […] Ho attraversato questa notte senza fine, che ha spento ogni luce e gioia della mia vita”.
Non sempre però gli sforzi sono vani, e soprattutto i grandi risultati non sono figli solo dei secoli passati: è recente la notizia che lo scorso 17 aprile uno sconosciuto lecturer cinquantenne dell’università del New Hampshire ha mandato alla rivista “Annals of Mathematics” un articolo contenente la dimostrazione, accettata dalla comunità scientifica come valida, della congettura dei numeri primi gemelli, risalente ad Euclide (300 a. C. circa). Ad essere precisi si tratta della dimostrazione della congettura in forma debole: se infatti l’enunciato originario recita “esistono infinite coppie di numeri primi (ossia divisibili solo per uno e per se stessi) che differiscono soltanto di due unità” (i numeri primi gemelli appunto: sono per esempio 3 e 5, 5 e 7 ecc. – la coppia più elevata è stata scoperta nel 2011 ed è: 3.756.801.695*2666.669+1 e 3.756.801.695*2666.669-1), la proposizione dimostrata da Yitang Zhang dimostra piuttosto che “esistono infinite coppie di numeri primi che differiscono tra loro di un numero N inferiore a settanta milioni”.
Per chi non è avvezzo alla matematica, il risultato potrebbe sembrare persino ridicolo: settanta milioni è di gran lunga superiore a due, e sembra di conseguenza molto meno elegante. Invece si tratta di una scoperta di portata eccezionale, perché per la prima volta è stato trovato un limite finito alla distanza tra due numeri primi consecutivi: ai matematici non resta ora che lavorare per ridurre questo limite. Altra cosa straordinaria, o forse no, è che il risultato sia stato ottenuto da un ricercatore sconosciuto, di un’università defilata, che prima di riuscire a diventare lecturer si è dovuto mantenere alternando periodi in cui lavorava come ragioniere, a periodi in cui faceva il “pony express” per un ristorante di New York, il portiere in un motel nel Kentucky o ancora il commesso in un negozio di panini di una stazione della metropolitana.
Ma come è arrivato alla scoperta? Era stato già il matematico francese Alphonse de Polignac nel 1849 a proporre di estendere la congettura di Euclide ricercando un numero, superiore a due, che costituisse la distanza massima tra due coppie di numeri primi consecutivi, e quindi, in una certa misura, a semplificare il problema (sempre che di semplificazione si possa parlare). Si osserva, infatti, che se all’inizio della linea dei numeri i numeri primi sono molto frequenti, mano a mano che ci si sposta in avanti, la distanza media tra di loro invece cresce. Per identificarli tutti non è possibile applicare il crivello di Eratostene, con cui il matematico di Cirene catalogò i numeri primi fino a 121, ossia il procedimento per cui mano a mano che si “scopre” un numero primo, si elidono i suoi multipli riducendo così la mole dei numeri da controllare una volta identificato il primo successivo. Questo sistema può essere applicato, infatti, ad un dominio discreto, ovvero a un insieme finito di numeri, e non certo alla catena degli infiniti naturali; inoltre si tratta di un metodo più operativo che teorico, con cui risulta difficile risolvere un quesito come la congettura dei primi gemelli. L’idea di base, però, rimase nei secoli la stessa: trovare una sorta di “filtro” che permettesse di scartare i numeri composti, in favore dei numeri primi.
Zhang ha raccontato di aver raggiunto l’obiettivo dopo aver letto l’articolo di Goldston, Pintz e Yildirim del 2005 (molto noto tra gli esperti del settore), in cui gli autori identificavano un filtro e una funzione “di effettività” basata sulla velocità con cui i numeri primi cominciano a mostrare delle regolarità di comportamento, grazie ai quali gli autori sono stati ad un passo dal dimostrare la congettura dei primi gemelli, senza però riuscirvi. Zhang confessò di aver continuato a pensarci su per tre anni (“la cosa principale è non smettere mai di pensare”), in solitudine, fino a sentirsi esausto, e poi gli accadde di avere l’intuizione geniale nel giardino di un amico, un pomeriggio della scorsa estate, mentre aspettava che si facesse l’ora per andare ad un concerto. Certo l’elaborazione analitica gli costò altri mesi di lavoro, ma il risultato complessivo fu di una soddisfazione tale che ora dice di “sentire la sua mente finalmente in pace”. Viene da pensare, leggendolo, a come si sentì Newton dopo che la famosa mela gli cadde in testa; di certo essere un signor nessuno e guadagnarsi la paternità di un risultato intuito agli albori della matematica, ma che per millenni nessuno era riuscito a dimostrare, non è cosa da poco.
Valentina Berengo