by Daria Benetazzo
1945-2015: gli anniversari tondi sono sempre importanti, se poi l’anno in questione è quello della fine della seconda guerra mondiale, il valore delle testimonianze e delle celebrazioni aumenta ogni anno che passa. Quello dei settanta anni, però, è un anniversario che per chi lavora nell’editoria ha un significato ben preciso: una volta trascorso questo periodo a partire dalla morte di un autore, le sue opere diventano di pubblico dominio, cioè non più soggette al diritto d’autore e fruibili liberamente. E a perdere la vita nel 1945, nella tragedia universale che fu l’Olocausto, è stata l’autrice di un’opera in cui il valore letterario si fonde con quello, inestimabile, di testimonianza umana dell’orrore della guerra vista da un’adolescente: Anne Frank. Il suo celebre Diario, pubblicato in Italia da Einaudi e già inserito dall’Unesco nel registro della Memoria del Mondo, dal primo gennaio 2016 sarebbe dunque dovuto entrare a far parte delle opere di pubblico dominio. Stando a quanto riporta PrimaOnline non sarà così, perché l’Anne Franke Fonds, l’istituzione fondata da Otto Frank nel 1963, che attualmente detiene i diritti dell’opera, ha stabilito, basandosi sulle diverse versioni dell’opera pubblicate negli anni, che proprio il padre di Anne, l’unico sopravvissuto della famiglia e il primo ad aver deciso di pubblicare il diario, non è un semplice curatore ma il co-autore dell’opera. Affermazione che ha un conseguenza pratica importante, quella di far scadere i diritti d’autore solamente a settanta anni dalla morte di Otto, avvenuta nel 1980, quindi nel 2050, ma che altera, in un certo senso, l’idea che tutti ci siamo fatti, fino a questo momento, della preziosa testimonianza di Anne.
La storia degli scritti a cui la ragazzina dedicò tanto tempo e passione nei due anni di reclusione nell’alloggio segreto, infatti, è probabilmente più complessa di come può apparire alla maggior parte dei lettori; può, inoltre, offrire nuovi spunti di riflessione sulla figura di questa adolescente straordinaria e sugli aspetti che, di fronte ad un evento che ha segnato così profondamente la storia dell’umanità, ci fanno considerare un’opera fondamentale per la memoria collettiva. Come si legge nell’appendice di Frediano Sessi all’edizione Einaudi curata da Mirjam Pressler e approvata dall’Anne Frank Fonds, Otto Frank, che per primo lesse i quaderni della figlia nel 1945, ebbe un ruolo fondamentale nel riordinare e selezionare i materiali da pubblicare: produsse una copia dattiloscritta dalla quale tolse le parti troppo private, riguardanti il rapporto tra Anne e la madre, non privo di contrasti, i passi in cui la figlia parlava del proprio corpo, o di questioni amorose e sessuali e in generale alcuni contenuti che considerava di scarso interesse, lasciando l’essenziale e rispettando, in ogni caso, il lessico. All’amico Albert Cauverne, poi, Otto chiese di correggere negli aspetti formali il dattiloscritto, che subì anche qualche intervento da parte del primo editore, Contact, che lo pubblicò nel 1947. Preoccupazioni affettive, culturali e poi linguistiche ed editoriali hanno dunque filtrato la prima versione che il pubblico ha conosciuto di un’opera il cui valore di testimonianza, forse, non è stato compreso immediatamente.
Ancora più interessante, però, è il fatto che sia stata la stessa Anne, in vita, a rendersi conto, in un momento preciso, che le sue parole non avrebbero dovuto restare solo confessioni private, ma che sarebbero diventate un prezioso documento di vita vissuta di interesse collettivo: il 28 marzo 1944, attraverso Radio Orange, il governo olandese in esilio a Londra lancia un appello a conservare testimonianze e scritti privati del periodo di guerra, e Anne decide di riscrivere le proprie pagine con la volontà di renderle, un giorno, pubbliche (e arrivando a coprire quasi tutto il periodo della prima redazione, fino alla fine di marzo del 1944). Una rielaborazione consapevole, a posteriori, anche dei sentimenti personali, dell’amore per Peter, dei litigi con la madre, dei rapporti con la sorella, e di tutte quelle questioni “private” che nella visione di Anne costituivano comunque una testimonianza di interesse collettivo. E forse la caratteristica che apprezziamo di più leggendo ancora oggi il Diario (grazie al fatto che i quaderni, tranne uno, e molti materiali manoscritti sono stati conservati e ritrovati negli anni) è proprio questa: la vitalità della voce di Anne, il suo raccontare, oltre alle appassionate riflessioni su grandi temi, i piccoli eventi, le amicizie, gli innamoramenti, le emozioni tipiche di una tredicenne, pur immersa completamente in una situazione drammatica. Una voce che probabilmente non prevedeva riscritture, correzioni o interventi di co-autori, e che è sopravvissuta con una personalità ben precisa al passare degli anni.
La questione dei diritti d’autore, dunque, tocca in questo caso un’opera di grande valore storico, che offre anche l’occasione di riflettere sul confine tra memoria personale e patrimonio collettivo, in un’epoca in cui le dimensioni del privato e del pubblico, online, vengono continuamente riconfigurate.