Intervistiamo, a distanza di qualche mese dall’assegnazione del Premio Strega, l’autrice di uno dei romanzi che erano in lizza per il prestigioso riconoscimento: Teresa Ciabatti. Il suo romanzo, infatti, La più amata (Mondadori, collana Scrittori Italiani e Stranieri, 218 pagine) ci è rimasto come retropensiero fisso. Un tarlo. La riprova, forse, che i personaggi eccessivi, e in certa misura fastidiosi, che vivono storie con qualche elemento dissonante sono quelli che ci vibrano dentro. Il libro piace anche a te se sei fatto così:
Genere: femmina
Età: dai 16 anni in su
Carattere e stato d’animo: sei una persona sognatrice ma che periodicamente mette i piedi per terra. Ti appassionano le storie di famiglia e sì, lo ammetti: alle volte non ti dispiace sbirciare dal buco della serratura
Libri piaciuti: Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno, L’estate senza uomini di Siri Husvedt e Il corpo di Jonah Boyd di David Leavitt
Ascolta l’intervista a Teresa Ciabatti (o scaricala qui):
Quando chiediamo ad un autore se il libro che ha scritto è anche solo vagamente autobiografico, generalmente otteniamo delle risposte vaghe. Questo tuo romanzo invece è dichiaratamente autobiografico: come hai fatto a trovare la giusta distanza per trasformare un’esperienza privata in letteratura?
In realtà è un inganno, nel senso che il romanzo è un finto memoir: mescolo fatti reali e personaggi reali con l’immaginazione. Per me non ha importanza quanto sia la percentuale di realtà e di immaginazione, conta solo quello che ne viene fuori. E poi siccome la voce narrante è una voce mitomane, isterica e alterata, è ovvio che la verità che racconta è una verità parziale: una verità mitomane, appunto.
Uno dei temi di cui racconti attraverso i tuoi personaggi è l’imperfezione, o meglio l’infelicità dell’imperfezione. Dimmi se sbaglio e come mai hai scelto questa luce…
È giustissimo. Nel senso che io parto a ricordare una donna − che corrisponde in parte a me, ma questo ha poca importanza − che è una donna inadeguata, come madre e come moglie, e piena di limiti. E in generale l’imperfezione mi interessa: mi interessa per esempio l’incapacità delle persone di ricoprire un ruolo, penso che sia un racconto più interessante rispetto invece a quello di chi ci riesce. Preferisco in tutti i sensi i perdenti rispetto ai vincenti…
Se pensiamo alla letteratura contemporanea, ma non solo, in Italia, ma non solo, molto spesso incontriamo romanzi di famiglia: da Tolstoj a Franzen, da Piperno a Teresa Ciabatti. Perché?
Io posso parlare del mio caso: mi interessa la famiglia perché rispecchia, in piccolo, la società. I meccanismi che si creano nella famiglia, anche quelli di sopraffazione, sono poi quelli riscontrabili nella società. La famiglia quindi diventa un ambito privilegiato di un’analisi che definirei… antropologica. Ora, anche senza esagerare, certamente la famiglia offre la possibilità di parlare di molto di più di quello che appare superficialmente. Io parto dalla mia famiglia, ma in realtà credo (e spero) di parlare di molte famiglie e anche di dinamiche sociali, perché poi uno dei temi forti del romanzo è il potere, e le sue dinamiche.
Un chiasmo che si trova tra le pagine de La più amata è l’opposizione tra personaggi forti e personaggi deboli e tra personaggi maschili e personaggi femminili. Se fosse stato un uomo a raccontare questa storia credi che l’avrebbe raccontata così? In cosa, secondo te, uomini e donne differiscono quando si misurano con la letteratura come scrittori?
Guarda io non so se posso parlare di uomini o donne, sicuramente questa storia chiunque altro non l’avrebbe raccontata così: avrebbe raccontato i fatti più interessanti, che sono sullo sfondo, mentre invece la mia scelta è stata quella di mettere sullo sfondo la massoneria, la P2, Licio Gelli, insomma certi misteri italiani, perché in primo piano ci si mette sempre a forza la protagonista, da ragazzina e poi da adulta. Però è una scelta voluta perché mi sembrava un po’ la metafora del nostro destino: noi rispetto a certi misteri italiani siamo destinati a non sapere niente, quindi rimangono sullo sfondo, insoluti, e davanti c’è sempre qualcos’altro, magari che luccica di più e ci porta in un’altra direzione. In primo piano nel romanzo c’è sempre una piscina col coccodrillo di plastica, colori sgargianti, e la ragazzina, appunto, e poi sullo sfondo succendono tante cose poco chiare e inquietanti.
Molte lettrici sono identificate nella protagonista, te lo aspettavi?
Non lo so. La protagonista è convinta di essere speciale, e quindi il momento che “fa la storia” è la sua scoperta di essere invece una qualunque. Tra l’altro nel mezzo questa bambina speciale che ha tutto, è privilegiata e sembra soprattutto avere davanti a sé un futuro pieno di possibilità, ad un certo punto cade. Questa caduta dà molta soddisfazione al lettore perché la ragazzina è veramente insopportabile (io prego tutti di arrivare sempre oltre pagina 100, perché so che è difficile sopportarla fino a pagina 100). La ragazzina perde tutto: perde la villa con la piscina, perde le case, perde i privilegi, e io credo che nelle cadute in molti si riconoscano. Inoltre lei perde tutto questo nell’adolescenza e quindi la sua ricerca d’identità diventa ancora più disperata e affannata, e anche questo sicuramente rende più facile l’identificazione del lettore.
Un’ultima curiosità: stai scrivendo già un’altra storia?
… così. [Teresa ride].
Rimaste in quest’alone di mistero, intanto andremo certamente a leggere (e rileggere) i romanzi che Teresa Ciabatti già ha scritto.