Parliamo con Vittorio Giardino, fumettista, della sua ultima fatica: il romanzo a fumetti Jonas Fink. Una vita sospesa (Rizzoli Lizard editore, 333 pagine) che secondo noi ti piace se sei fatto così:
Genere: maschio o femmina
Età: dai 20 anni in su
Carattere è stato d’animo: hai voglia di svago ma anche di imparare qualcosa, sei di fondo un tipo malinconico e molto romantico, ma non lo dai a vedere. Adori i fumetti
Libri piaciuti: L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, No pasáran di Vittorio Giardino e Gli autunnali di Luca Ricci
Ascolta l’intervista (o scarica il podcast qui):
D: Che differenza c’è tra scrivere un romanzo “a parole” e un romanzo “ a fumetti”?
R: La differenza è contemporaneamente molto piccola da una parte ma enorme dall’altra. Molto piccola perché il tipo di sforzo intellettuale che c’è nello scrivere un romanzo e nello scrivere e disegnare un romanzo a fumetti è molto simile. Però i due linguaggi sono estremamente diversi. Quindi anche le sintassi e le grammatiche dei due linguaggi sono diverse. Con la letteratura fatta solo di parole hai le possibilità dell’astrazione, scrivendo cioè tu puoi dire tranquillamente che“Giorgio uscì casa con il suo cane”, questo è sufficiente; ma se tu devi rappresentare in un fumetto la stessa cosa, quel cane deve essere precisato qual è: non puoi genericamente dire “cane”, devi disegnare un bassotto, un cane lupo, un alano… il disegno in sé è inesorabilmente concreto.
D: Quindi voi fumettisti sapete davvero tutto di quello che raccontate…
R: Forse proprio tutto no, ma c’è un’esigenza di precisione che la letteratura non ha. E questo è un grande vantaggio per la letteratura, ma entro certi limiti può essere anche uno svantaggio. Come in tutte le cose ci sono aspetti positivi e negativi, ma questo era solo per dire che la differenza fra i due modi di scrivere è notevole.
D: Chi è Jonas Fink? So che hai cominciato a raccontare di lui davvero molti anni fa…
R: Sì. Ho avuto la spinta ad imbarcarmi in un’avventura che sapevo sarebbe stata complessa con le immagini della caduta del muro di Berlino, quindi stiamo parlando del 9 novembre del 1989: un bel po’ di anni fa. Mi sono messo al lavoro e ne ho concluso una prima parte, che fu pubblicata all’inizio degli anni ’90. Poi ho fatto altre cose nel frattempo, fatto sta che questa ultima parte che conclude la vicenda è uscita solo adesso, quindi la bellezza di 24 anni dopo. Chiaramente non ci ha lavorato per 24 anni, ma insomma i lettori che hanno letto quelle pagine negli anni ’90 sono stati così buoni con me da aspettare tutto questo tempo per leggere la conclusione della storia!
D: Questo romanzo è ambientato a Praga: si racconta di un ragazzino che negli anni ’50 fa il commesso per un libraio, poi cresce, gli succedono molte cose… non sveliamo di più. Quello che voglio chiederti è che rapporto hai con Praga per averla disegnata così nel dettaglio (come peraltro fai sempre) in tutto un romanzo? Ci sei andato spesso? Ci sei tornato per disegnare?
R: Ci sono andato varie volte e ci sono tornato di recente, qualche anno fa, apposta per alcuni sopralluoghi, che mi servivano proprio per disegnare l’ultima parte, di luoghi di Praga non turistici come ad esempio la clinica psichiatrica di Bojnice che, in realtà, fra gli addetti ai lavori è una clinica abbastanza famosa, perché a metà dell’Ottocento fu la prima clinica psichiatrica ad abolire le sbarre alle finestre. Oggi è un ospedale tutt’ora funzionante che si trova nella periferia di Praga e che nessun turista va a visitare, ma dato che io avevo già immaginato una serie di scene ambientate lì, ho voluto andarmi a rendere conto personalmente, con i miei occhi, di come era. Ecco quindi il mio rapporto con Praga è di antica data, la prima volta che sono stato là era nel 1970, giù di lì, o forse il 1973 o 1974…
D: Tu hai visto anche la Praga che racconti, in sostanza.
R: Certo. Ho visto anche la Praga grigia del socialismo reale, anche se non erano più gli anni duri dello stalinismo, comunque era sempre un ambiente molto diverso da quello occidentale, per certi versi. La risposta alla domanda che tu mi hai fatto, cioè perché Praga e come mai ho questo rapporto con quella città, sarebbe istintivamente: “Ma come?! Non sei mai stata a Praga?!” La città è talmente bella e talmente affascinante che non si può non amarla: è una delle più belle città d’Europa, secondo me. Lo è sempre stata, e lo è ancora oggi, malgrado l’Occidente – il nostro West – l’abbia invasa portando anche i suoi aspetti deteriori, tipo le catene commerciali, il turismo di massa… Se dovessi dare un consiglio per visitare Praga, direi assolutamente di evitare le feste comandate come Pasqua e il Primo maggio, perché in quelle occasioni si riempie di turisti di tutt’Europa.
D: E chissà come mai leggendo la fine del tuo romanzo mi ero fatta l’idea che tu la pensassi proprio così…! Ma senti: Jonas Fink è uno dei tuoi più famosi personaggi maschili, l’altro è Max Fridman. Tu principalmente disegni uomini, attorniati da bellissime donne, come mai?
R: Io sono di sesso maschile e mi riesce più difficile mettermi nei panni di una donna che in quelli di un uomo. La donna per me, e in generale l’universo femminile, è un universo abbastanza misterioso: non ho la pretesa di capirlo, come veramente neanche quello maschile… Però mi riesce più spontaneo avere dei protagonisti maschi, anche se devo dirti che i personaggi femminili che sono dentro a questa storia mi affascinano molto. Non avranno il ruolo di protagoniste, ma la storia non potrebbe esistere senza di loro.
D: Sai se i tuoi lettori sono principalmente uomini o donne?
R: Sì. Lo so benissimo ahimè: c’è una maggioranza schiacciante, purtroppo, di lettori maschi. Questo credo dipenda anche dal fatto che la maggioranza schiacciante c’è in generale per il fumetto, cioè tutti i lettori di fumetti sono in maggioranza maschi, con l’eccezione, forse, dei più recenti manga giapponesi, che hanno saputo parlare anche alle ragazze, ragazzine molto giovani a dire il vero. Però di solito il pubblico dei fumetti è quasi esclusivamente maschile e questa è una cosa che mi dispiace moltissimo. Le lettrici sono abbastanza rare.
D: Se tu potessi io volessi dare un consiglio a chi sogna di fare il tuo mestiere, che cosa diresti? Tu come hai imparato?
R: Io prima di tutto non mi permetterei di dare consigli, perché non ne ho l’autorità, ho solo l’esperienza. io ho imparato questo mestiere facendolo, perché vengo da un’altra formazione culturale: ho studiato ingegneria e ho fatto anche l’ingegnere per diversi anni, poi ho abbandonato quella professione per dedicarmi al fumetto. Ma è vero che ho sempre amato i fumetti fin da piccolo e ho sempre amato disegnare fin da bambino. Il consiglio più importante che darei è sicuramente quello di amare molto questo tipo di attività di per sé, non perché possa rendere ricchi e famosi, anche perché è molto difficile, anzi direi che è quasi impossibile. E questa è una caratteristica che ho sempre avuto e continuo ad avere ancora adesso, esattamente come molti anni fa: io mi diverto moltissimo quando lavoro. Poter stare seduto al mio tavolo a scrivere e disegnare è una delle cose più divertenti della mia vita. Questo è fondamentale perché peraltro invece è un lavoro molto duro, che richiede molto impegno, e che occupa molto molto tempo. Però non basta il talento: un’altra delle qualità che sono necessarie è quella di avere certe doti di carattere, cioè bisogna essere capaci di resistere alle avversità, soprattutto all’inizio, perché gli inizi, in questo tipo di mestiere (non solo nel fumetto ma credo anche nella letteratura, nella musica e in tutti i mestieri creativi) di solito sono molto duri e uno colleziona rifiuti uno dietro l’altro. Quindi è possibilissimo che uno si scoraggi. Bisogna non lasciarsi scoraggiare, ma se l’entusiasmo è davvero una passione irrefrenabile (che a me ha persino costretto a cambiare mestiere) allora non c’è problema, perché nessuno riuscirà mai a scoraggiarti abbastanza da farti smettere.