Oggi ti raccontiamo l’ultimo romanzo di Diego De Silva, Divorziare con stile (Einaudi editore, collana I coralli, 392 pagine), dialogando con l’autore. Questa lettura ti può piacere se sei fatto così:
Genere: maschio o femmina
Età: dai 20 anni in su
Carattere è stato d’animo: sei stanco di vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto… anzi tutto vuoto! La vita che fai a volte non ti rende felice e ti sembra persino di non avere amici con cui confidarti. Cosa vorresti? Sorridere o anche ridere di gusto e pensare che, sì, la vita è bella se la sai prendere per il verso giusto
Libri piaciuti: Terapia di coppia per amanti di Diego De Silva, Il fosso di Herman Koch e La cerimonia del massaggio di Alan Bennett
Ascolta l’intervista (o scarica il podcast qui):
Come si fa a scrivere un romanzo che faccia sorridere, o ridere, il lettore in modo così consapevole?
Essenzialmente cercando di essere tu che lo scrivi il primo a divertirti, cioè guardare la pagina con un senso di estraneità e porti di fronte alla scena che in quel momento immagini, alle parole che metti in bocca a questo o a quel personaggio, in una maniera che ti sorprenda.
In Divorziare con stile porta sulla pagina di nuovo un personaggio che i lettori conoscono bene: è Vincenzo Malinconico un avvocato non troppo di grido, però dallo spiccato senso dell’umorismo, che tutto sommato piace abbastanza alle donne, in particolare alle lettrici . Come ha fatto a creare un personaggio che è stato così amato? Pensa che lettori si identifichino?
L’identificazione probabilmente ci sarà, le ragioni per cui questo succede sono delle illazioni che noi possiamo fare in maniera, non direi posticcia, ma quantomeno successiva per cui sono di fatto razionalizzazioni. È molto difficile dire perché un libro piace. Sicuramente Malinconico è un uomo a disagio e non è un vincente. È uno che tutto sommato ha fatto pace con i propri limiti, con le proprie inadeguatezze e con le proprie inettitudini e forse questo dà la possibilità al lettore medio di riconoscersi in lui.
Le avventure che lo riguardano fanno effettivamente sorridere il lettore, però in certi momenti lo portano anche a riflettere profondamente, fino anche a farlo commuovere quasi nello stesso tempo. In Divorziare con stile a me è successo quando il protagonista Malinconico incontra un suo professore delle superiori che è finito a fare il tassista e dopo un momento di imbarazzo i due riescono a scambiarsi un riconoscimento d’affetto; oppure quando viene raccontato come, in fondo, siamo affezionati persino alle cabine del telefono su cui, prima che vengano dismesse, viene affisso sopra un avviso: “tenetevi pronti questa cabina verrà eliminata”. Lei in fondo è un nostalgico?
Probabilmente sì, anche se poi caratterialmente mi sforzo di non esserlo, perché tutto sommato vivere con la testa rivolta all’indietro non fa bene, però sì, probabilmente un carattere nostalgico ce l’ho. Poi, tra l’altro, arrivati ad una certa età della vita secondo me si tende un poco a ripercorrere il proprio passato con una forma di mancanza, e quindi a rapportarlo stupidamente al presente sopravvalutandolo, che è un segno di vecchiaia. È inevitabile.
I suoi romanzi parlano moltissimo di musica. C’è un capitolo di Divorziare con stile in cui lei cita ben tutte queste canzoni: Another one bites the dust dei Queen, Sex&drugs&rock&roll di Ian Dury and The Blockheads, Una storia disonesta di Stefano Rosso, Tornerò dei Santo California, Miele del Giardino dei semplici, L’importante è finire e Ancora ancora ancora di Mina, Non sai fare l’amore di Ornella Vanoni, Pensiero stupendo di Patty Pravo e Triangolo di Renato Zero. Ci spiega questa sua grande affezione verso la musica?
È una mia passione da quando ero ragazzo. Credo di avere una certa sensibilità per quel tema, lo spero… Ero un musicista dilettante per cui la musica ha rappresentato e riempito lunghi anni della mia vita. E poi ci gioco: la faccio entrare nei miei libri anche perché è un modo di raccontare il costume sentimentale di un certo tempo. Credo che in amore noi tutti finiamo un po’ per imitare le canzoni, molto più di quanto non facciamo con il cinema, per cui molto spesso il carattere nazionale, per esempio italiano, è molto ben rappresentato da una canzonetta… neanche dalla canzone d’autore, proprio della canzonetta del jukebox. E quindi trovo che ci siano degli elementi di folklore romantico che diventano molto buffi in un romanzo.
Infatti le confesso che le pagine su Every breath you take dei Police di Terapia di coppia per amanti le ho persino fotocopiate per portarle qui in radio.
Beh, lì andiamo sul serio però. Quando parliamo dei Police si fa un altro discorso: musica con la M cubitale. Tanto per restare alle cronache, qualche giorno fa ho avuto il grandissimo onore di conoscere Stewart Copeland per cui sono ancora in fibrillazione.
Una frase che ho sottolineato del suo ultimo romanzo riguarda internet. Scrive:
Il difetto del sapere tascabile che ci portiamo dietro con lo smartphone è che funziona con le domande elementari, ma prova a fargli una domanda a internet che abbia dentro giusto un paio di verbi e vedi un po’ cosa ti risponde
Ecco, lei crede che dovremmo tenere maggiormente a mente questo fatto? Visto che ormai, come si legge anche nel suo libro, qualcuno crede di poter prendere la laurea su internet…
Sì, credo che internet sia un grandissimo strumento per l’immediata appropriazione di dati e che nel cosiddetto tempo reale, cioè nel tempo inesistente (perché il tempo reale è un tempo che scade per definizione: non c’è neppure modo di arrivare che già vecchio, il che sembra quasi un ossimoro), noi accedendo questa macchina miracolosamente potente possiamo subito sapere qualsiasi dato che ci interessi sapere. Questo però crea un’illusione di acculturazione basica che è assolutamente fallace perché, come dico nel libro, a una domanda secca internet può rispondere, ma sottoporre ad internet un problema, cioè un approccio alla realtà che comporti un minimo di atteggiamento critico, di sistemazione di dati che non sia una semplice sommatoria di cifre a un’informazione, ebbene lì mostra tutta la sua pochezza. Il problema è che siamo, secondo me, immersi in un pensiero comune che si accontenta sempre di più dell’abstract, del riassuntino, della micro pillola che ti consente di fare quel piccolo passaggio “nel quadratino” senza però avere una reale evoluzione. Tutto sommato anche questa è una forma di decadenza culturale. Senza essere nostalgico rispetto ad altri tempi, ma è come se in internet ci fossimo fermati all’anticamera della conoscenza, cioè sappiamo qualcosa di più, ma in anticamera, per andare al di là di quella stanza non c’è niente da fare: bisogna studiare, bisogna leggere, cioè approfondire.
La cosa che mi colpisce molto è come lei riesca a far riflettere il lettore infilando qui e lì delle riflessioni di questo tipo, ma tenendolo sempre avvinto alla lettura.
Il romanzo deve essere un’occasione di riflessione, non deve essere una lectio magistralis. Cioè da lettore chiedo a un romanzo di avvincermi, poi personalmente sono molto più interessato allo stile che alla storia, ma magari un problema mio… Credo che in un romanzo contemporaneo la storia sia un pretesto per dire altro: voglio che un libro mi aiuti a riflettere, che stimoli la mia intelligenza, che mi faccia pensare a cose a cui non arrivo normalmente, che mi faccia poi riflettere anche su di me, su quelli che sono i miei limiti. Mi piace che anche che il fatto di scrivere un libro sia per me un’occasione di riflessione, per cui se mentre sto raccontando un accadimento, una cosa qualunque mi stimola delle riflessioni, provo a buttarle nel libro…
Che rapporto ha con i suoi lettori? Li incontra spesso? O le scrivono?
Faccio presentazioni, anche se non sono un bulimico, ma vado abbastanza in giro e quindi attraverso frequentemente la penisola e ho la fortuna di avere un pubblico abbastanza vasto che mi fa molto piacere incontrare. È anche un modo per essere vicino a chi ti segue, a chi arriva con i libri per farseli firmare, perché vuol dire avere un rapporto di continuità, tra virgolette affettiva, con chi ti dà da vivere: senza un pubblico che compra i nostri libri non so come faremmo a campare, noialtri che nella vita non sappiamo far altro che leggere e scrivere! Per quanto riguarda i social, sono soltanto su Twitter. Mi piace molto perché è un mezzo che si basa su un pensiero sintetico, per cui per me ogni giorno mettere una piccola riflessione di 140 caratteri o poco più (li hanno aumentati da poco) è un modo di tenere allenato un muscolo, ma non sono uno che risponde tanto… non perché sia uno snob, intendiamoci. Non sono su Facebook perché se prendessi posto anche lì, ci vorrebbero ore e ore ogni giorno, e sinceramente tutto questo tempo non l’ho più.
E infatti noi lettori ci auguriamo che lei il tempo lo passi a scrivere, e, a questo proposito, le chiedo: è tornato al personaggio di Vincenzo Malinconico più volte, quattro se non sbaglio [oltre a questo romanzo anche i tre precedenti, raccolti nel volume intitolato Arrangiati Malinconico, nella foto]. Da lettrice sono rimasta legata al personaggio di Modesto di Terapia di coppia per amanti: crede che potrei ritrovarlo, in futuro, in un qualche suo libro?
Non lo so. Sinceramente al momento mi sentirei di escluderlo perché considero Terapia di coppia per amanti un romanzo autoconclusivo, anche perché Modesto, per certi versi, è molto simile a Malinconico, anche se credo che abbia una sua personalità, una sua individualità. Ma magari mi sveglio una mattina e mi viene in mente qualcosa… La scrittura ha questo di bello: che è imprevedibile. Un giorno ti viene uno strano bagliore di idea, lo segui e ti torna un personaggio. Quindi chi lo sa? Chi può dirlo?
È così che nasce un libro? Da una riflessione venuta per caso, da uno spunto?
Nasce da una pagliuzza. Da una piccolissima parvenza di idea che piano piano comincia a prendere una forma; questa forma si espande e la forma è la scrittura. E poi riflettere sul pensiero che ti spinge a scrivere conta poco, quello che conta è l’artigianato dello scrivere: mettere mano alla pagina bianca. Un po’ come la musica: ho bisogno dello strumento per cominciare a capire che cosa diventa una volta che ci metto sopra le mani.