Recensione di Valentina apparsa su “il Bo” l’8 novembre 2012 del romanzo: “Ratti rossi” di Qiu Xiaolong (Marsilio editore, collana Tascabili maxi. Gialli, traduzione di V. Curtoni, 322 pagine).
“Si tolse dai capelli un petalo bianco di gelsomino e lo mise in una tazza di tè, con deliziata sorpresa degli americani che le stavano intorno”: l’unica frase poetica del romanzo giallo di Qiu Xiaolong Ratti Rossi (Marsilio, 2008), non potrebbe rappresentare meglio di così, con un’immagine sola, lo stupore che noi europei proviamo verso le cose del mondo cinese. Leggendo Xiaolong, infatti, il lettore non viene rapito dalla trama (giallisti americani, del nord Europa e in fondo anche italiani, ci hanno abituato ad intrecci sopraffini), ma dalla possibilità di seguire le avventure dell’ispettore-poeta Chen Cao (questo il quarto romanzo di una serie) e conoscere così la quotidianità di un paese che ad ogni pagina si svela essere diverso da ciò che avremmo potuto immaginare. Un paese di enormi disuguaglianze sociali, di consumismo sfrenato, di corruzione.
L’inizio è un classico: alla polizia di Shanghai arriva una telefonata anonima che denuncia la presenza di un cadavere. Solo che mai verrebbe di pensare che il cadavere, nel paese che per gli ingenui è ancora una landa bucolica dove il comunismo regna sovrano, possa essere quello di un uomo legato al Partito, ritrovato svestito nella stanza al piano di sopra di un locale di “ragazze k”, ragazze karaoke, tecnicamente le nostre escort. Il morto è un “topo rosso”, uno speculatore corrotto legato al Partito. Da lì Chen verrà incaricato come “inviato speciale dell’imperatore” e quindi con pieni poteri, di indagare su un altro noto esponente politico, Xing, arricchitosi con la speculazione edilizia e poi fuggito negli Stati Uniti; ma si capisce bene che il suo non è un caso isolato, bensì un tassello di un sistema ramificato.
“Corruzione, fubai, alla lettera significa marcio. Negli anni Sessanta […] significava lo stile di vita marcio della borghesia, in riferimento a cose come il sesso extraconiugale. […] In senso più generale la parola poteva alludere alle stravaganze borghesi, persino a un centro [di benessere] come quello, il cui solo costo d’ingresso era superiore allo stipendio mensile di un operaio”. Ecco che davanti agli occhi appare un paese spaccato, in cui non valgono più i principi di egualitarismo dei tempi di Mao, in cui l’economia stagnava ma tutti avevano lo stesso stipendio. Il divario tra i nuovi ricchi e il resto della popolazione è visibile ovunque: solo per la classe dei colletti bianchi in ascesa (imprenditori, quadri di partito, impiegati ben retribuiti in aziende private o straniere) è pensabile avere l’automobile privata o un’auto di servizio, agli altri toccano autobus sovraffollati.
I ratti rossi possono permettersi appartamenti extra lusso, le persone normali vivono mediamente in tre in una stanza; i locali di intrattenimento sono pensati solo per i nuovi “giovani, colti, danarosi [che] vogliono mettersi alla pari col mondo attraverso una consapevolezza globale nuova di zecca”. Ci sono quindi Starbucks, Pizza Hut, la Coca Cola ma solo per pochi. Quello che nel mondo occidentale è un prodotto di massa, in Cina è elitario. Gli animali domestici li si può vedere sul sedile posteriore di una decappottabile, perché i loro padroni sono esclusivamente i più ricchi, gli altri se hanno una tazza di tè e una fetta di torta di riso rafferma la tengono per gli esseri umani. E poi c’è lo Stato: nell’unico paese del mondo comunista e capitalista insieme, ci sono ancora gli stipendi statali, per esempio per gli iscritti all’Associazione scrittori cinesi di cui fa parte lo stesso ispettore Chen, ma con cui non ci si arricchisce di certo. Da qui la pratica delle “buste rosse” piene di yuan cinesi o di dollari americani per corrompere il funzionario di turno e fare affari, quelli veri.
Con la sua prosa meticolosa e iperrealista, l’autore nelle vesti del narratore o per bocca dei suoi personaggi descrive minuziosamente tutti questi aspetti del suo paese, con la libertà di chi in Cina non ci vive più (Xiaolong insegna letteratura cinese a Saint Louis negli Stati Uniti). A un terzo della storia è attraverso uno dei ratti rossi che l’autore insinua una verità scomoda: “La Cina ha raggiunto un grande risultato negli ultimi dieci anni. Un risultato che gli economisti occidentali non sanno spiegare. […]La corruzione potrebbe aver facilitato il nostro sviluppo economico in ampia misura. E’ un paradosso no?”. Sarebbe bello poterlo chiedere agli esponenti del Partito che in questi giorni siedono al diciottesimo congresso. Ma Xiaolong ne ha anche per gli americani: “Area non fumatori. […] Questo sarebbe un paese libero? Nient’altro che ipocrisia.”
Valentina Berengo