Blog

di Luca Leone

È notizia recente la morte di Asia Ramazan Antan, donna curda bellissima di appena vent’anni, con capelli e occhi incredibilmente neri. Era bella anche spettinata, sporca e ferita, nelle foto che la immortalano sul fronte di guerra. Combatteva contro l’Isis, si era arruolata due anni fa, e, combattendo, è morta. La stampa occidentale si era affezionata a lei, ne seguiva gli spostamenti, l’aveva ribattezzata “l’Angelina Jolie curda”. E in effetti ci somiglia. Ci somigliava.

Alcuni però hanno fatto notare che se non fosse stata bellissima e con straordinarie capacità di conservazione delle sue doti estetiche, neanche sarebbe stata individuata. Hanno ipotizzato che sia questo, una sorta di plus valore, il motivo necessario che produce attenzione verso lei (e di conseguenza la sua guerra) da parte dei giornali occidentali, altrimenti molto poco avvezzi a scendere nei dettagli. I fatti per quanto sconvolgenti e dalla portata mondiale, da soli non bastano.

Diventa allora consigliatissima la lettura di un libro come “Kobanê Calling” scritto e disegnato da Michele Rech, da tutti conosciuto come Zerocalcare. Il giovane fumettista ha voluto vedere con i suoi occhi le migliaia di donne compagne di Asia Ramazan Antan (belle o brutte), lasciare tutto e entrare a far parte delle truppe del Ypg. Ha cercato di comprendere l’ostilità da parte del presidente turco, tanto spietato verso i popoli Curdi, nonostante questi sembrino organizzatissimi ed evoluti, sotto i migliori punti di vista.

È andato fino a Mesher, a pochi passi da Kobanê, una delle ultime città che non si è ritirata di fronte all’avanzata del Califfato. Poi, sei mesi dopo, è ripartito per un viaggio più complesso attraverso diverse regioni dello Rojava, a stretto contatto coi combattenti ribelli, concludendo il suo itinerario dove tutto è iniziato: ancora, Kobanê. E ha raccontato tutto.

Di certo non è un esperto, ma sa farsi capire, perché si propone, nel bene e nel male, come “uno di noi”. Come un ragazzo comune senza manie di protagonismo o eccessivi giramenti di testa da successo editoriale. Un aspetto cruciale, che tiene a sottolineare già nel sottotitolo: “facce parole e scarabocchi da Rebibbia al confine Turco-Siriano”. Dichiara che usa Rebibbia, il bacino culturale entro cui cresce e vive, come dizionario, come spunto per le didascalie.

Racconta ricordando da dove proviene, da un quartiere che è un microcosmo particolarissimo, dove però si concentrano le più diffuse peculiarità di noi italiani. Dal suo epicentro sono sempre scaturiti, del resto, le irremovibili star suoi libri: animali incarnazioni della sua coscienza, personaggi estrapolati da serie Tv, figure ricorrenti, che si esprimono in corretto e fluente “romanaccio”.

Nel caso di Kobane Calling si serve di loro e del suo background culturale per dare il via a un gioco di raffronti continuo. Mette faccia a faccia le due realtà, per decriptare le immagini torbide di un orizzonte culturalmente difforme al nostro. In questa griglia di paragoni è possibile vedere i nemici dell’Isis disegnati come i cattivi di Ken il guerriero, la puzza delle moschee adibite a dormitori confrontata con quella della palestre per i vari raduni scout, e mille altri accostamenti di questo stampo.

Può anche intervenire, ad uno scopo bene preciso, un gruppo punk di nome Atarassia Groep e la canzone l’Oltretorrente, come colonna sonora di un dato momento della spedizione, incastonata in un ambizioso e riuscito parallelismo. Nella parte conclusiva del resoconto del suo primo viaggio, l’autore si avvicina a comprendere il vero spirito dei combattenti Curdi e dei volontari di tutte le nazioni che presiedevano, giorno dopo giorno, la linea di separazione tra loro e l’Isis, la striscia di terra tra Kobanê e Mesher.

Comprenderlo, significa anche svelare qualcosa di sommerso dentro di sé, il motivo più profondo per cui, appunto, ha abbandonato Rebibbia, per uno dei posti più scomodi e pericolosi del globo. Cita quindi il brano L’Oltretorrente degli Atarassia Groep, grippo punk di origini comensi, che narra degli eroici cittadini parmigiani del quartiere omonimo.

Nell’Agosto del 1922 riuscirono, con pietre e barricate di fango e in numero decisamente esiguo, a resistere all’assedio degli squadroni fascisti comandati nientemeno che da Italo Balbo.“Balbo ha superato l’Atlantico ma non Parma” scriveranno ignoti, poi, clandestinamente, sui uno dei muri della città, per celebrare l’impresa in cui caddero cinque tra i trecento delle schiere parmigiane.

Simbolicamente, Parma rappresentò l’ultimo baluardo di resistenza: nel suo cuore popolare si concentrarono le residue forze civili e democratiche, prima che, come la storia ha decretato, cominciasse il ventennio cromaticamente nero.

Lo scenario storico italianissimo evocato dalla canzone si colloca in maniera speculare, di fronte alla strenua resistenza dei cittadini liberi contro l’Isis per la conquista di di Kobanê, anch’essa tra le ultime a cedere al nemico. La corrispondenza con i fatti di Parma vuole dire esattamente questo.

Classifica certe lotte al di sopra delle divisioni,  da combattere per un bene collettivo e universale. Poche strofe della canzone degli Atarassia Groep, riportate nel fumetto, riescono a ricordarlo. Il libro, tanto per confermare l’importanza della musica delle parole degli Atarassia Groep, si conclude proprio sulle note di un altro brano da loro firmato.

Ascolta il racconto di Luca Leone (o scarica il podcast qui):

 





Leave a Reply








Libri consigliati

Facebook