“Mi chiamo Lucy Barton” di Elizabeth Strout

Raramente consigliamo biografie, forse non è un genere che ci appartiene, ma, per stati d’animo particolari, come quello descritto qui sotto, secondo noi sono perfette! “Mi chiamo Lucy Barton” di Elizabeth Strout (Einaudi editore, collana Supercoralli, traduzione di Susanna Basso, 158 pagine) può piacere anche a te se sei fatto così:

Genere: femmina

Età: dai 50 anni in su

Carattere e stato d’animo: hai bisogno di una pausa di riflessione. Di premere rewind e riascoltare la tua storia, o la storia di un’altra come te. Sei paziente, riflessiva e non ti perdi mai d’animo. Ogni tanto sei vittima dei sensi di colpa ma li cacci giù nel profondo dell’anima, e per un po’ li dimentichi.

Libri piaciuti: “Stoner” di John Williams, “La comparsa” di Abraham Yehoshua, “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout

Come “Stoner” di Williams, questo è un romanzo che ripercorre una vita, attraverso dei flash back. L’episodio scatenante è un ricongiungimento, tra madre e figlia, che diventa occasione per raccontare, per chiedere conferma, per in qualche modo riuscire a dire a voce alta, guardandosi da un letto d’ospedale, quello che davvero è stato.

Dalle scarne parole di Lucy Barton (alias la scrittrice) pulsano verità dolorose, ma anche un senso di pace, che forse nasce dal fatto stesso di riordinare gli eventi, e di metterli sulla pagina.

Premi play o scarica il podcast qui per saperne di più.

In quel periodo Becka, la più sensibile delle due [figlie], mi disse: – Mamma, se uno scrive un romanzo, lo può sempre riscrivere, ma se vivi per vent’anni con una persona, il romanzo, non è che lo puoi riscrivere con un altro. […] Quando me lo disse, la guardai. Le dissi: – Hai ragione.